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Il Training Autogeno è per tutti?

Il Training Autogeno di I. H. Schultz è una tecnica di autodistensione assai duttile, dalla ampia applicabilità. 

Scorrendo la vasta bibliografia, sia scientifica sia divulgativa, si rimane impressionati dalle moltissime aree di applicazione del TA, e ciò può colpire positivamente, ma anche lasciare interdetti.

Tante indicazioni, infatti, potrebbero far pensare al TA come a una panacea, una di quelle metodiche che, poiché sono buone per tutto, finiscono per non essere utili ad alcunché di specifico.

In realtà non è così, e la spiegazione sta nel fatto che la sedazione emotiva che si raggiunge praticando il Training Autogeno influenza positivamente il sistema nervoso autonomo, favorendo l’equilibrio tra i suoi due sottosistemi: simpatico e parasimpatico.

La conseguenza naturale di tale equilibrio è il raggiungimento della quiete emotiva, con le naturali ricadute positive su tutti i disagi sia psicologici che fisici.

Wallnöfer con un arguto parallelismo, lo spiega così:

Quando le cure Kneipp vengono utilizzate con successo sia per i reumatismi, sia per i dolori cardiaci, sia per la gastrite, la cosa ad un primo sguardo sembra un po’ taumaturgica. In realtà lo stimolo dell’acqua calda o fredda sulla pelle aumenta l’irrorazione sanguigna e regola, quando viene adoperato sistematicamente, il lavoro del sistema nervoso vegetativo. Poiché questo è implicato sia nella sintomatologia gastrica sia in quella dell’angina pectoris, si spiega perché con tale metodo si può migliorare o addirittura guarire una tale gamma di disturbi diversi.
La stessa cosa vale – nell’ambito somatico – per il Training Autogeno, poiché l’attenuazione della risonanza emotiva, dell’area dei sentimenti, va di pari passo con l’attenuazione della risonanza dell’area del sistema nervoso vegetativo, che svolge i suoi effetti sia nel paziente gastrico, sia nel paziente con l’infiammazione cronica della prostata o della vescica, o, ancora nella donna che soffre della cosiddetta ‘infiammazione delle ovaie’ (…). (Wallnöfer, 2008, p. 79).

Nelle pagine che seguono, esaminerò le indicazioni del TA, attenendomi a quanto scrivono sull’argomento gli Autori più qualificati.

Nella disamina segnalerò di volta in volta in casi in cui il TA non è indicato, cioè quelle situazioni in cui, pur non essendo di per sé dannoso, non risulta utile.

Analogamente, segnalerò anche i casi in cui è controindicato, sia in senso assoluto, sia parziale.

Schultz, nelle sue opere, ha riportato numerose situazioni in cui si può impiegare il TA con buone probabilità di successo, sia in ambito psicologico che medico.

Assieme a W. Luthe, il suo più stretto collaboratore, inviava ogni anno ai cultori della tecnica in tutto il mondo un minuzioso questionario in cui si richiedevano testimonianze e arricchimenti sul lavoro clinico condotto da ciascun destinatario.

L’archiviazione delle numerosissime risposte costituiva un aggiornamento costante circa i nuovi campi di applicabilità del metodo.

I risultati di questo paziente e accurato lavoro di archiviazione di dati e di casistica clinica vennero pubblicati dagli Autori nel 1969, in due volumi: Autogenic Therapy. Applications e Psychotherapy e Autogenic Therapy. Medical Applications.

Un excursus delle indicazioni di Luthe si può trovare in lingua italiana nell’articolo di Pilla (1977).

Nell’elencare le applicazioni del TA terrò presenti principalmente l’opera di Schultz e Luthe citata sopra, e i più recenti contributi di Hoffman, Peresson, Bazzi, Giorda, Masi, Wallnöfer e De Rivera Y Revuelta.

Il Training Autogeno in situazioni non patologiche

Schultz riteneva il Training Autogeno una pratica di igiene mentale utile nella prevenzione di numerosi disturbi provocati dallo stress.

Nei soggetti non patologici, il TA è indicato nei seguenti casi:

  • Autosedazione;
  • Recupero di energie;
  • Modificazioni del vissuto cenestesico;
  • Regolazione vasomotoria;
  • Potenziamento delle capacità mnemoniche;
  • Introspezione e presa di coscienza di sé;
  • Formulazione di proponimenti.

 

Esaminiamo le indicazioni una per una.

Autosedazione

La possibilità di realizzare in pochi istanti lo stato della calma, prima importante acquisizione di chi accede all’apprendimento del TA, porta allo smorzamento della risonanza emotiva attraverso l’autosedazione

Schultz spiega che:

Le stimolazioni emotive non determinano soltanto astratte ripercussioni localizzate nella corteccia, ma provocano onde di eccitamento che coinvolgono l’organismo nella sua totalità, in ogni sistema (…). Una tecnica che permetta, a colui che ad essa si allena, di raggiungere per mezzo di una momentanea concentrazione psichica una messa a riposo di così importanti sistemi di espressione, come i muscoli, i vasi, il cuore, il respiro e persino entro certi limiti gli organi addominali, è facilmente comprensibile che possa smorzare in modo rilevante la componente somatica delle reazioni affettive” (Schultz, 1972, 188-189).

Queste possibilità rivestono grande importanza in un numero elevato di situazioni della vita quotidiana, per far fronte agli effetti dello stress e per prevenirli.

Un altro vantaggio consiste nella possibilità di prendere le distanze da se stessi e dai problemi personali:

L’autosedazione ci permette di cogliere i nostri problemi nella loro reale dimensione (…) staccarci da essi, osservarli con distacco, facendo una specie di passo indietro quasi per ammirare un ideale quadro d’autore nella sua più vera e autentica prospettiva grafica (Peresson, 1980, pag. 145).

 

Recupero di energie

L’esperienza clinica ha dimostrato che un periodo anche breve in cui si sperimenta la concentrazione passiva, atteggiamento mentale caratteristico del TA, porta come conseguenza un aumento oggettivabile della capacità lavorativa.

Secondo Schultz, ciò è spiegabile con la diminuzione della tensione. 

Peresson cita a questo proposito i lavori di scienziati sovietici e americani sull’addestramento degli astronauti al TA, proprio nella direzione di un rapido recupero delle energie. (Peresson, op. cit.).

 

Modificazioni del vissuto cenestesico

Si tratta di ciò che Schultz denomina “intensificazione del vissuto sensoriale” (Schultz, op. cit., pag. 156).

In pratica, la profonda presa di coscienza del soma, attraverso l’esperienza del TA, può provocare una amplificazione delle sensazioni cenestesiche: queste diventano più precise e più vivaci, permettendo un miglioramento delle prestazioni e intensificando la percezione delle sensazioni esterne.

Schultz, ad esempio, riporta il caso di una cantante che descrisse una modificazione positiva dell’udito, non solo relativamente alla percezione del mondo esterno, ma anche alla propria voce mentre cantava. (Schultz, op. cit.).

Analgesia

L’altra utilizzazione de TA nella modificazione del vissuto cenestesico avviene con la analgesia. Tale possibilità è stata studiata e impiegata in campo medico in svariate situazioni, dagli interventi odontoiatrici alla profilassi al parto.

I meccanismi attraverso i quali agisce sono di natura psicosomatica. Con il TA, infatti, non è tanto il dolore in sé che si attenua, ma la reazione emotiva ad esso, allentando la morsa del circolo vizioso paura-tensione-dolore.

 

Regolazione vasomotoria

Per mezzo degli esercizi specifici del TA, si può indurre la percezione del calore e del fresco, provocando rispettivamente vasodilatazione e vasocostrizione.

Nel primo caso (calore) si può intervenire con successo per sedare sensazioni dolorose, ad esempio spasmi degli organi addominali. Il calore, inoltre, aumenta il rilassamento generale, diminuendo la risposta emotiva di tensione al dolore.

Schultz riporta casi in cui la pratica dell’esercizio del calore ha protetto dai rigori del clima molto freddo. Molto conosciuto è il caso di un suo paziente che, smarritosi in montagna, si salvò dal congelamento delle estremità, praticando l’esercizio del calore, mentre attendeva i soccorsi. Al contrario i suoi compagni di sventura subirono il congelamento e l’amputazione di alcune dita.

Analogamente, ci si può difendere dal clima troppo caldo praticando esercizi atti a provocare la vasocostrizione.

Anche il fresco può essere impiegato per scopi terapeutici, ad esempio in caso di pruriti persistenti: in questi casi, si indirizza la vasocostrizione nell’area disturbata.

In odontoiatria, il paziente esperto di TA, può prepararsi a interventi chirurgici – ad esempio di implantologia – allenandosi a convogliare il fresco (vasocostrizione) nell’area della bocca soggetta all’intervento: in tal modo, si riduce significativamente il sanguinamento durante l’intervento.

 

Potenziamento delle capacità mnemoniche

Con l’allenamento autogeno le capacità mnemoniche sono rafforzate. Schultz afferma che, analogamente a ciò che avviene con il fenomeno dell’ipermnesia ipnotica, le persone allenate con il TA possono richiamare alla memoria eventi dimenticati da molto tempo.

Con il Training, inoltre, si possono migliorare le capacità di fissazione del materiale da memorizzare.

 

Introspezione e presa di coscienza di sé

Si tratta della possibilità di autoconoscenza e scoperta dei propri vissuti profondi offerta dal Training Autogeno Superiore e impiegata nel corso della Psicoterapia autogena.

Anche durante l’allenamento con il ciclo inferiore, tuttavia, può accadere che soggetti particolarmente sensibili e dotati di capacità meditative sperimentino vissuti di profondo contatto con se stessi e acquisiscano più lucida consapevolezza delle problematiche profonde.

Formulazione di proponimenti

Durante lo stato di concentrazione passiva, il paziente già ben allenato viene addestrato a rappresentarsi mentalmente delle formule personali rivolte ad organi specifici, oppure a comportamenti che egli desidera modificare.

Nel primo caso si intende agire su un determinato organo per migliorarne le condizioni o le prestazioni, ovvero per curarne eventuali affezioni.

Nel secondo caso si agisce con un procedimento analogo a quella che in ipnosi è chiamata suggestione postipnotica (Schultz, op. cit. pag. 163) ossia quegli “ordini” che si impartiscono alla persona in stato ipnotico affinché li esegua al risveglio.

In questo caso, a differenza dell’ipnosi, è il paziente stesso, e non il terapeuta, a impartire gli ordini.

Dal punto di vista psicologico si può affermare che tale procedimento comporta un vero e proprio decondizionamento e si avvicina pertanto – in parte identificandovisi – alle tecniche di terapia comportamentale.

Il ricorso alle formule di proponimento può rivelarsi efficace nel trattamento delle paure e anche delle fobie con substrato ansioso: ad esempio, timore di parlare in pubblico, o di non essere all’altezza di sostenere alcune situazioni nei rapporti interpersonali.

Sono applicabili con buona aspettativa di successo anche nell’insonnia, in alcune sindromi ossessive lievi (in questo caso il terapeuta deve evitare accuratamente che l’esercitazione dl TA diventi essa stessa un rituale ossessivo), e come coadiuvante nella terapia del tabagismo, dell’alcolismo e di altri tipi di dipendenza.

 

Il Training Autogeno in patologia

In medicina

Va tenuto presente che l’utilizzo del TA in medicina avviene all’interno di approccio globale alla persona, nella sua unità psicosomatica. 

  • In ambito medico, con il TA si ottengono in generale buoni risultati quando alla base di una affezione vi è l’alterazione dell’equilibrio del sistema nervoso vegetativo.

    Gli apparati che meglio rispondono al trattamento con il TA e che vengono pertanto comunemente trattati con esso sono:
    • Apparato digerente;
    • Apparato cardiocircolatorio;
    • Apparato respiratorio;
    • Apparato genitale.

 

Apparato digerente

E’ comunemente accettato da parte della Comunità scientifica il ruolo determinante dei fattori psichici e dello stress nella genesi dei disturbi dell’apparato digerente. Tali disturbi ormai sono talmente frequenti da essere considerati il tributo da pagare allo stile di vita della società odierna.

Si parla di disturbi cronici, come la gastrite, il colon irritabile, i disturbi funzionali della cistifellea e dei dotti biliari, la nausea, il vomito e la diarrea a eziologia psicogena.

L’evidenza clinica mostra un miglioramento o una remissione dei sintomi. Al riscontro strumentale se ne ha la conferma: ad esempio è possibile rilevare la riduzione della motilità gastrica in eccesso durante la gastroscopia, non appena il paziente inizia la sua esercitazione autogena.

Ovviamente, si tratta di esprimenti condotti con soggetti così ben allenati con il TA, da poter svolgere il proprio esercizio durante un esame sgradevole come la gastroscopia.

Vale la pena di citare anche successi ottenuti in casi di obesità, laddove le cause di questa avevano chiara origine psicogena: conflitti sessuali, regressione difensiva allo stadio di gratificazione orale, ecc. (Peresson, op. cit.).

 

Apparato cardiocircolatorio

Si tratta di un campo di applicazione assai delicato, dove le precauzioni da tener presenti sono evidenti. Nei soggetti portatori di disturbi cardiocircolatori, l’intervento con i Training Autogeno deve essere accuratamente vagliato e programmato, e condotto in collaborazione con un cardiologo.

Particolare circospezione deve essere messa in atto nelle cardiopatie per evitare reazioni paradosse parossistiche, soprattutto quando si fa eseguire l’esercizio del controllo del ritmo cardiaco (Esercizio del Cuore). E’ doveroso rimarcare che tale esercizio rappresenta una delle rare controindicazioni del TA, precisamente – e limitatamente – alla fase acuta dell’infarto miocardico.

Va tuttavia tenuto presente che, una volta risolta la fase acuta, l’autosedazione procurata per mezzo del TA può essere molto efficace per interrompere la catena della paura che genera tensione, evenienza che frequentemente affligge questi pazienti quando temono una ricaduta.

Nella sua ultima pubblicazione, Wallnöfer dichiara che “oggi non c’è clinica di riabilitazione per pazienti cardiaci in cui il “programma standard” non preveda il TA o esercizi simili. Proprio nel gruppo dei ‘manager’, particolarmente esposto a infarti, abbiamo potuto constatare che coloro che si allenano con regolarità, anche dopo un primo infarto, hanno buone chances di guarigione” (2008, p. 82). L’Autore si riferisce alla realtà austriaca: c’è da augurarsi che l’esempio abbia seguito anche in Italia.

Risultati positivi relativamente all’apparato circolatorio si ottengono anche in alcuni casi di ipertensione arteriosa, quando i valori della pressione sistolica si normalizzano significativamente dopo alcune settimane di allenamento autogeno.

Più consistenti, infine, sono i risultati a livello di circolazione periferica, grazie alla possibilità di apportare benefiche modificazioni sulla regolazione vasomotoria.

Apparato respiratorio

I casi più citati di affezioni respiratorie in cui il TA può rivelarsi utile sono la rinite vasomotoria e l’asma.
Va comunque tenuto presente, qui come nel trattamento di qualunque altra classe di disturbi, l’inscindibilità dell’unità bio-psichica della persona sana. Così, ad esempio, trattando l’asma, va tenuto in considerazione che spesso ne sono portatori pazienti ansiosi, che approdano al TA dopo aver tentato una serie di terapie rivelatesi inefficaci e sono pertanto scoraggiati. Spesso la frustrazione rende il sintomo più penoso e addirittura lo peggiora.

All’opposto, può capitare, come annota Peresson parlando della propria esperienza clinica (Peresson, op. cit.), che pazienti che intraprendono il TA per curare un’affezione principale, scoprono con sorpresa che scompaiono altri sintomi, che non avevano considerato di importanza preponderante, molti tra questi riguardano proprio l’apparato respiratorio.

Apparato genitale

Sono trattabili con buone prospettive terapeutiche problemi dell’apparato genitale femminile, quali ladismenorrea e la dispareunia (sempre che la causa non sia organica, bensì psicogena).

Notevole successo si riscontra nella psicoprofilassi al parto, soprattutto con il Metodo RAT(Training Autogeno Respiratorio) messo a punto da Umberto Piscicelli.

Per quanto concerne l’apparato genitale maschile, sono riconosciute ottime prospettive nella terapia dell’impotenza psicogena.

In psicoterapia

Il Training Autogeno può essere considerato a buon diritto un metodo psicoterapeutico, se utilizzato da uno psicoterapeuta formato nella psicoterapia autogena.

Non si tratta dunque di un metodo di per sé psicoterapeutico, ma di una modalità di impiego che diventa psicoterapeutica se amministrata da persona preparata e nell’ambito di un progetto specifico.

Così si esprime Masi: “…la psicoterapia è un metodo di cura rivolto all’unità psicosomatica, mirante cioè a sanare sia i disturbi psichici, sia quelli somatofunzionali, ai primi strettamente connessi. Se ciò è esatto, possiamo dire senza incertezze che il TA possiede in massimo grado questi requisiti.” (Masi, 1987, pag. 107).

La psicoterapia autogena è breve, non comporta legami di dipendenza nei confronti del terapeuta, in circostanze selezionate è combinabile con altri approcci terapeutici e, all’occorrenza, anche con la psicofarmacoterapia (Giorda – Bazzi, 1980).

Una volta appresa la tecnica del Training Autogeno, il paziente può adattarla alle proprie esigenze personali e proseguire a utilizzarla, come stile di vita e nell’ottica della prevenzione, anche dopo la fine del rapporto con il terapeuta.

Nel suo livello Somatico (non si può dire altrettanto per il Training Autogeno Superiore) è indicata anche per le persone di non elevato livello intellettuale e culturale (Bazzi-Giorda, 1979).

Semplificando molto, si può affermare che il TA, nel suo ciclo inferiore, può essere inserito in un approccio terapeutico di smorzamento del sintomo, o di “copertura”, dando così al paziente sollievo immediato e migliore disposizione alla fase successiva, quando lo si guiderà alla ricerca delle ragioni profonde del sintomo.

Proprio la peculiarità e la duttilità delle Tecniche Autogene Superiori ha fatto sì che la ricerca e l’esperienza terapeutica con tale metodo si sia estesa nell’ambito di diversi approcci teorici.

Abbiamo ad esempio esperienze autorevoli di TAS ad orientamento analitico, a cominciare dai lavori di Wallnöfer, già allievo di Schultz.

Il Training Autogeno è utilizzato di frequente dagli psicoterapeuti ad orientamento umanistico-esistenziale. Ad esempio, è un metodo che si integra armoniosamente con la logoterapia di V. Frankl.

Per quanto riguarda le indicazioni in psicoterapia, in discorso non è né semplice né univoco. E’ indiscusso quanto detto sopra a proposito delle indicazioni in situazioni non patologiche: queste, prese nel loro insieme, dimostrano che il TA rappresenta un valido presidio di prevenzione nei confronti degli effetti deleteri dello stress, nonché una pratica di igiene mentale quasi sempre gradita a chi la sperimenta.

In ambito psicoterapeutico, l’ansia è senza dubbio l’indicazione elettiva del TA , che è pertanto indicato e utile nelle turbe nevrotiche la cui genesi è ansiosa. In particolare, tendono a scomparire o a migliorare sensibilmente:

    • I sintomi somatici di derivazione ansiosa;
    • L’eccessivo peso (talora ossessivo) che il paziente ansioso tende ad attribuire a tali sintomi;
    • Le reazioni fobiche;

       

    • L’alterazione del ritmo sonno-veglia

       

    • La sfiducia in se stessi e il pessimismo relativamente al futuro.

Il trattamento delle nevrosi d’ansia mediante il TA può essere vantaggiosamente integrato con l’introduzione di formule specifiche con obiettivo della modificazione comportamentale di cui si è detto precedentemente.

Per fare qualche esempio, la modificazione comportamentale tramite il TA è particolarmente efficace:

  • Nel timore di parlare in pubblico;
  • Nel blocco emotivo in occasione di esami o prove impegnative che mettano in discussione la stima di sé;
  • Nelle reazioni ansiose esagerate degli sportivi in occasione di competizioni (Peresson, op. cit.).

Rientrano nei disturbi a genesi ansiosa trattabili con il TA le cosiddette nevrosi d’attesa, reazioni nevrotiche a causa delle quali i pazienti sono ansiosi perché temono l’ansia stessa o gli effetti che questa può provocar loro. Tipiche sintomatologie che esitano nelle modalità comportamentali dell’ansia da attesa sono quelle che investono la sfera sessuale: eiaculactio praecox, impotenza, dispareunia. Anche i casi di ansia da attesa sono vantaggiosamente trattabili con il TA.

Diverso è il discorso se si prendono in considerazione le vere e proprie nevrosi d’angoscia: in questi casi i risultati terapeutici del TA sono abbastanza deludenti, mentre sembra più indicato il trattamento psicoanalitico, Lo stesso Schultz così si esprime: “E’ ben difficile poter realizzare una buona tranquillizzazione autogena nelle nevrosi d’angoscia specifiche: l’esperienza mi ha infatti dimostrato che in tali forme, come in tutte le nevrosi gravi, è opportuno far precedere una rielaborazione della personalità per mezzo di un trattamento analitico in profondità” (op. cit. pag. 233).

In altre forme di nevrosi grave non vi sono prove dell’utilità del TA che, pertanto, si considera non indicato nelle reazioni isteriche e nelle reazioni dissociative.

Sia nel primo caso, soprattutto quando sono presenti i sintomi di isteria grave, o reazioni compulsive coatte, sia nelle reazioni dissociative, il TA, ancorché non indicato, può rivelarsi addirittura contro indicato. La concentrazione sul soma, infatti, può provocare, in taluni pazienti gravemente disturbati, sensazioni di estraneità nei confronti del corpo stesso.

La regolarità propria dell’allenamento autogeno, infine, può condurre il paziente ossessivo a fare dell’esercitazione del TA un rituale ossessivo.

In conclusione, in questi casi, la gravità della situazione può rendere l’eventuale trattamento con il Training Autogeno da non indicato, ossia inutile ai fini terapeutici, a contro indicato, cioè potenzialmente in grado di peggiorare il quadro clinico.

Per quanto riguarda invece le reazioni fobiche, il trattamento con il Training Autogeno è sempre indicato. Di norma, viene associato con tecniche di decondizionamento, sia la classica terapia comportamentale, sia le tecniche di desensibilizzazione autogena.

Anche le nevrosi ipocondriache, infine, possono essere trattate con successo mediante il TA, nonostante l’apparente preoccupazione, rilevata anche da Schultz, che la concentrazione sul soma possa aggravare il peso dell’attenzione nevrotica sullo stesso.

I risultati clinici sembrano dimostrare il contrario: la miglior consapevolezza del vissuto somatico ha spesso come conseguenza un miglior autocontrollo funzionale del corpo.

Per quanto riguarda, infine, le psicosi, generalmente parlando, queste non sono trattabili con il TA. Infatti, il contatto troppo labile con la realtà, caratteristico dei pazienti affetti da turbe psicotiche, impedisce il corretto apprendimento degli esercizi e la gestione in proprio degli stessi.

Questa generica premessa, tuttavia, è in parte contraddetta dalla segnalazione di alcuni casi, ad esempio di schizofrenia non grave, trattati da Peresson (op. cit.), con qualche successo. Tuttavia non mi sembrano significativi, sia per l’esiguo numero dei casi riportati, sia perché il trattamento con il TA nei casi di psicosi è sempre associato a terapia psicofarmacologica, ed è pertanto impossibile isolare gli eventuali successi ascrivibili al TA.

Si può dunque affermare che il TA è una tecnica dalle molte indicazioni e che solo raramente è necessario sconsigliarla o, addirittura, vietarla.

In una recentissima pubblicazione, G. De Rivera (2009) riporta una lista di non indicazioni e contro indicazioni assolute e contro indicazioni relative, elaborata dall’ICAT, il Comitato Internazionale per i Coordinamento dell’insegnamento e dell’Applicazione clinica della Psicoterapia Autogena.

Si tratta di casi e situazioni particolari, spesso legate all’esecuzione di un singolo esercizio in una situazione patologica delimitata.

Conclusioni e note critiche

Da quanto detto fin qui, si può senza dubbio affermare che il TA è molto indicato come pratica di igiene mentale e di prevenzione degli effetti dello stress.

E’ altresì indicato in medicina psicosomatica e in psicoterapia, per i disordini comportamentali a sfondo ansioso, con o senza somatizzazioni, purché non vi siano turbe di personalità che coinvolgano dinamiche troppo profonde.

In queste ultime situazioni può essere, a seconda dei casi: indicato in combinazione con altre tecniche, non indicato, o, addirittura contro indicato.

Le molte indicazioni riportate dai manuali di TA vanno lette con spirito critico, alla luce di alcune riflessioni. Tra queste le più costruttive ed equilibrate mi sembrano quelle di Bazzi (1980).

Bazzi, la voce italiana più autorevole sul Training Autogeno, fa notare che l’adesione acriticamente entusiastica a questo come a qualsiasi altro metodo terapeutico, delude e danneggia il paziente, discreditando la terapia stessa.

A proposito delle indicazioni pressoché infinite riportate da alcuni Autori, egli ne ridimensiona la portata, facendo notare che nella terminologia anglosassone clinical application ha un significato assai vasto, perché comprende sia le indicazioni possibili che quelle preferenziali.

In altre parole, non è sufficiente che in un determinato soggetto o in una determinata affezione il TA sia attuabile; possiamo parlare di indicazione vera e propria quando il metodo in questione, oltre che attuabile sia preferibile ad altri approcci terapeutici.

Naturalmente, se nel primo caso le applicazioni possono essere moltissime, nel secondo caso il campo si restringe di molto. Inoltre, sempre secondo Bazzi, nella monumentale mole di pubblicazioni (difficilmente quantificabile, ma si pensi che nel 1967 Schultz e Luthe ne catalogarono più di 1000) scarseggiano notizie attendibili circa la casistica clinica dei soggetti trattati con il TA e la situazione non può dirsi diversa allo stato attuale.

Ancora, soprattutto in campo medico, i risultati della terapia sono talora di difficile interpretazione, dato l’uso frequente, e spesso irrinunciabile, di associare al TA la farmacoterapia.

Infine, Bazzi fa notare come i terapeuti di TA – seguendo del resto un costume diffuso – pubblichino volentieri e tendano ad enfatizzare i propri successi terapeutici, dando scarso rilievo o tralasciando il resoconto degli insuccessi.

Sarebbe, al contrario, assai utile disporre di materiale su cui studiare i casi di insuccesso per trarne insegnamento.

Bazzi, basandosi sulla personale esperienza clinica, così riassume l’argomento delle indicazioni, dei successi e insuccessi e di una loro corretta interpretazione:

I.Se si tiene conto delle indicazioni ristrette cioè i casi in cui il TA non solo è possibile, ma anche preferibile ad altre tecniche, la percentuale degli insuccessi supera il 10%. Al contrario, attendendosi alle indicazioni allargate, cioè alla semplice applicabilità dl TA, la stessa percentuale sale moltissimo.

II. Si può parlare di successo quando si assiste alla totale remissione della sintomatologia, o quanto meno ad una “marcata riduzione delle sofferenze nevrotiche” (op. cit. pag. 58), obiettivamente constatabili dal ripristino delle abituali attività dei soggetti. Più difficile è la valutazione del miglioramento dei tratti di personalità: apprensività, insicurezza, ecc.

III. Il successo o l’insuccesso vengono valutati alla fine del trattamento. Sarebbero tuttavia interessanti anche della catamnesi a distanza di anni. Per ragioni pratiche, purtroppo, ciò non avviene, se non in un numero ristretto (dunque poco significativo) di casi.

IV. Le caratteristiche del TA renderebbero necessario un criterio di valutazione del successo terapeutico non solo basato sull’effettiva scomparsa dei sintomi, ma anche sulla “presa di posizione ” del paziente riguardo i sintomi stessi. In altre parole, il soggetto dovrebbe anche acquisire un’indipendenza nei confronti del terapeuta, avendo appreso a gestire da sé il proprio trattamento con il TA e anche i propri sintomi.

V. Infine, va sottolineata la difficoltà, comune a tutte le psicoterapie, di distinguere gli effettivi benefici della terapia dai miglioramenti spontanei o dai benefici ascrivibili al rapporto positivo tra terapeuta e paziente.

In conclusione, lungi dal considerare il Training Autogeno come un facile rimedio a tutti i mali del corpo e della psiche, mi sembra di poter condividere l’affermazione di Bazzi:

Il TA non deve essere sopravalutato né sottovalutato; in esso, come ovunque in psicoterapia (…) se chiedete poco avrete molto; se chiedete molto non vi sembrerà mai abbastanza (Bazzi – Giorda, op. cit. pag 105).

 

Bibliografia essenziale

Bazzi T.- R.Giorda, Il training autogeno, teoria e pratica, Roma, Città Nuova, 1979.
De Rivera Y Revuelta J.L.G., Psicoterapia Autogena. I parte. Training Autogeno di Base, Torino, Cortina, 2009. Traduzione italiana a cura del Centro Divenire.
Giorda R. – T.Bazzi, I nuovi orizzonti del training autogeno, Roma, Città Nuova, 1980.
Hoffmann B.H., Manuale di training autogeno, Roma, Astrolabio, 1980.
Luthe W. – J. H. Shultz, Autogenic Therapy. Medical Applications II , New York, Grune and Stratton, 1969.
Luthe W. – J. H. Shultz, Autogenic Therapy. Application in Psychotherapy III, New York, Grune and Stratton, 1969.
Masi L., Training autogeno. Una psicoterapia breve, Roma, Il Ventaglio, 1987.
Masi L., Le tecniche autogene superiori. Verso la sintesi mente-corpo, Roma, Il Ventaglio, 1989.
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Peresson L., Psicoterapia autogena, Faenza, Faenza Editrice, 1985. 
Pilla A, Inconvenienti – difficoltà, contro indicazioni in psicoterapia autogena, in “Training Autogeno. Nuovi contributi ed esperienze cliniche, 1° Seminario Nazionale ICSAT, Jesolo (Venezia), 8 maggio 1977, CISSPAT Edizioni, pp. 53-66.
Schultz J.H., Il training autogeno. I. Esercizi inferiori, Milano, Feltrinelli, 2002.
Schultz J.H., Il training autogeno. II. Esercizi superiori, Milano, Feltrinelli, 2002.
Wallnöfer H., Anima senz’ansia. Training Autogeno. Ipnosi. Le vie del rilassamento, Roma, E.U.R., 1993 
Wallnöfer H., Sani con il Training Autgeno e la psicoterapia autogena, Roma, Armando (AIRDA), 2008.