Dialogo con Stefania Tucci, Psicoterapeuta che si occupa da molti anni delle conseguenze psicologiche dei traumi.

Quando accade, nessuno sa davvero che cosa fare.

Viviamo ogni giorno una vita frenetica, ricca di stimoli, di impegni, di progetti, di sogni. Programmiamo che cosa faremo stasera, domani, tra un mese, come se fossimo certi del nostro futuro.

Poi, all’improvviso, la vita può cambiare, nello spazio di pochi minuti.

In Italia muoiono ogni anno 7.000 persone per incidenti stradali, 300.000 rimangono ferite, 20.000 subiscono gravi handicap permanenti.

Sono cifre a cui siamo abituati, che quasi non ci toccano, perché si pensa sempre che questi eventi tragici accadano agli “altri”.

E quando accade, nessuno sa davvero che cosa fare.

Non lo sanno coloro che devono comunicare la notizia luttuosa, non lo sanno le madri che perdono i figli, non lo sanno le vittime, devastate nel corpo e nella mente.

La dottoressa Stefania Tucci, psicoterapeuta, si occupa da molti anni delle conseguenze psicologiche dei traumi.

Ringraziandola per aver accettato di parlarci della sua esperienza, le pongo alcune domande.

 

Come sei arrivata a maturare la necessità di accrescere la conoscenza e affinare l’esperienza nella psicologia del trauma?

Tu hai detto, nella premessa, che, “quando accade, nessuno sa davvero cosa fare”. Ecco, è andata proprio così!

Quando avevo 29 anni, sono stata una vittima della strada, sopravvissuta ad un incidente mortale nel quale ho perso una sorella di 25 anni. Quel giorno sono morta con lei, e ritornare alla vita non è stato facile, anzi. Ho impiegato tredici anni ad uscirne, e quando sono riuscita trovare un senso a quello che mi era capitato, mi sono sentita finalmente viva.

Nessuno mi ha aiutata in questo percorso, e molte esperienze vissute in concomitanza e negli anni successivi all’incidente hanno contribuito ad aggravare le mie condizioni fisiche e psicologiche e a procrastinare nel tempo la mia rinascita. Allora ho pensato che la mia esperienza e le mie competenze professionali potevano, se integrate tra loro, aiutare altri a ridare un senso alla propria vita.

Allo stesso tempo, la vita per me poteva ripartire da lì, da dove era stata interrotta, perché dal giorno dell’incidente era come se non riuscisse più a scorrere. Mi sono detta: visto che ogni volta che provo a prendere un’iniziativa i miei sforzi risultano vani e scopro sempre di essere finita in un vicolo cieco, perché non riprovare da lì: dall’incidente?
Per tredici anni ho parlato a tutti quelli che incontravo, chiunque essi fossero, del mio incidente, come se non potessi fare a meno di farlo. Da quando so di avere superato il trauma che ho vissuto, sono gli altri a chiedermi di parlarne. E lo faccio volentieri, non per farmi commiserare, ma per spingere gli altri a riflettere sulle conseguenze psicologiche degli incidenti.

Ho iniziato così a studiare e a fare ricerca, elaborando il tutto alla luce della mia esperienza, perché mi sono resa conto che quando accadono tragedie così grandi non esistono reti sociali di sostegno, e ognuno è abbandonato al proprio dolore. Nel nostro paese, siamo davvero indietro su questi problemi: è giunto il momento che qualcuno si attivi per porre rimedio a questa situazione che arreca disagio a moltissime persone!

 

Puoi definire il problema?

 

Per cercare di essere chiara direi che il trauma si verifica ogni volta che ci confrontiamo con un’esperienza che esorbita le nostre capacità di contenimento emotivo. Sul piano fisico, il trauma ci espone al pericolo più grande: quello della morte. Sul piano psichico, è trauma tutto ciò che infrange la nostra integrità psichica e ci fa vivere una discontinuità con la nostra vita precedente.

Numerose sono le circostanze della nostra esistenza nelle quali possiamo trovarci a vivere esperienze traumatiche, si pensi alle violenze fisiche e psicologiche, ai traumi di guerra, alla condizione dei profughi e dei rifugiati o a quella dei perseguitati politici, alle catastrofi naturali o dolose, come terremoti, incendi, ecc. Ma sono causa di trauma anche condizioni di disagio protratte per lungo tempo, come precarietà economica o maltrattamenti. Insomma, il trauma è la più diffusa forma di disagio che affligge il mondo.

Gli effetti psicologici del trauma spesso non vengono riconosciuti, ma le ripercussione di un incidente automobilistico sull’individuo e sulle famiglie hanno gravi conseguenze anche sulla società nel suo complesso. Basti pensare al costo degli interventi sanitari, giuridici, per non parlare dei costi sotto il profilo del lavoro e quindi della produzione di reddito, ecc.

L’incidente stradale non è mai questione di un attimo, ma è un impatto che si ripete, al quale segue un decadimento della qualità della vita dei superstiti. Se questi subiscono danni permanenti o muoiono, il decadimento è subito da chi sta loro vicino, cioè i familiari. Il danno conseguente la perdita di un familiare o il danno per l’infermità riportata da quest’ultimo, sono destinati a crescere fino a dar luogo a malattie conseguenti serie.

Vittime e parenti soffrono di cefalee, insonnia e incubi notturni con senso di paura o terrore e manifestazioni neurovegetative quali tachicardia, sudorazione, tremore, destinate a protrarsi nel tempo, indice di una sofferenza psicologica che spesso diviene permanente; perdita di interesse nelle attività quotidiane; perdita di fiducia in se stessi; massiccio incremento dello stato d’ansia e delle risposte fisiologiche e comportamentali ad esso correlate, angoscia, irritabilità o scoppi d’ira, ipervigilanza, esagerate risposte d’allarme, problemi di memoria e concentrazione, fobie, depressione, disordini alimentari o altre manifestazioni psicopatologiche, propositi suicidari; problemi relazionali, difficoltà di comunicazione, problemi sessuali; evitamento degli stimoli che possono evocare ricordi del trauma; eventuali problemi dovuti al rifiuto da parte dell’individuo verso ciò che è necessario, immediatamente dopo il trauma, per la propria salute e sicurezza; manifestazione di comportamenti impulsivi o rischiosi; attenuazione della reattività generale, uno stato di intorpidimento, insensibilità o paralisi emozionale-affettiva (numbing) che porta ad una limitazione della gamma affettiva, al disinvestimento dalla famiglia, al ritiro sociale, al distacco ed all’estraniamento dall’ambiente; consumo di maggiori quantità di sostanze psicotrope (tranquillanti, sonniferi), nicotina, alcool e droghe; diminuzione di interesse per il futuro e carenza di prospettive.
Se il trauma ha determinato a qualcuno la morte o gravi lesioni, i sopravvissuti possono sentirsi in colpa per essere rimasti indenni o per non avere sufficientemente aiutato la persona deceduta; gli individui con questo disturbo spesso possono sentire una responsabilità, per le conseguenze del trauma, maggiore rispetto a quanto sia giustificato.

L’assistenza psicologica, in questo senso, è fondamentale non solo per la cura, ma anche che per il reinserimento in società.

Nella stragrande maggioranza dei paesi occidentali i problemi conseguenti al trauma sono presi in attenta considerazione, perché se ne sono studiate le ricadute sulla collettività oltreché sul singolo. Perciò esistono reti di assistenza sociale e psicologica integrata che non lasciano sole le vittime e i loro familiari. Purtroppo in Italia siamo molto lontani da tutto questo, e se per esempio esistono dei centri per l’assistenza alle vittime di violenze sessuali, non esiste niente o quasi per le vittime di incidente, di qualunque tipo esse siano: stradale, domestico o sul lavoro.

Che cosa può fare lo psicologo?

Lo psicologo può fare moltissimo, perché si deve considerare che quando qualcuno si trova coinvolto in un incidente, quand’anche l’incidente non abbia arrecato danni fisici e materiali, vive comunque un trauma. Quel trauma lascia una traccia indelebile sulla sua anima, una traccia che il tempo da solo non può cancellare. Ecco allora che l’intervento dello psicologo risulta essenziale, perché lo psicologo è l’unico professionista che può intervenire sul vissuto traumatico di una persona, aiutandola ad elaborarlo e depotenziarne gli effetti negativi sulla sua vita.

Lo psicologo è in grado di intervenire sui tre gradi di prevenzione:

 

  • quella terziaria, nel caso in cui un disturbo post traumatico, conseguente ad un incidente, si sia già cronicizzato e quindi richieda una psicoterapia a lungo termine;
  • secondaria, quando, immediatamente dopo un trauma, aiuti la persona che lo ha vissuto a superarlo ed elaborarlo;
  • primaria, sia direttamente, lavorando sulla prevenzione delle cause, per esempio, attraverso campagne informative, ecc., sia indirettamente, perché ogni intervento psicologico fatto su persone che abbiano vissuto un trauma o su sopravvissuti a lutti ha come ricaduta una riduzione della propensione al rischio di una persona e conseguentemente degli incidenti.

Sostanzialmente non si può fare prevenzione degli incidenti stradali senza usufruire di tutte le risorse che la psicologia e solo la psicologia è in grado di mettere in campo.

 

 

Chi non ha vissuto l’esperienza drammatica del trauma e del lutto, tende a pensare che, al di là del danno fisico, o dell’elaborazione del lutto, non vi sia altro di cui tener conto: è proprio così?

 

Come dicevo, un’esperienza traumatica lascia un segno indelebile dentro di noi, ma anche nelle persone che vivono al nostro fianco: i nostri familiari e i nostri amici, che con noi possono trovarsi a non sapere come fare fronte ad un’esperienza che esorbita le nostre capacità di contenimento emotivo.

Oltre ai sintomi che riferivo, in una società organizzata come la nostra, la persona che vive un trauma si trova isolata e sente di non essere compresa. In genere, le persone sottovalutano gli effetti di un trauma e non sono disposte a dare ascolto a chi si trova in difficoltà, non solo perché tutti vanno di fretta, ma perché il trauma fa paura. Fa paura calarsi nei panni dell’altro e sperimentarsi fragile e in balia degli eventi. Nessuno di noi vorrebbe mai trovarsi in una condizione di vittima.

Se invece fossimo capaci di empatia verso il nostro prossimo, potremmo organizzare meglio le nostre società, anche perché, prima o poi, ognuno di noi può trovarsi ad essere vittima di qualcosa e di qualcuno. Allora quel giorno si sentirà solo, e scoprirà che non è sufficiente rimettere a posto il corpo o sotterrare l’amico o il parente per ritrovare il coraggio di vivere ancora.

 

Vuoi parlarci delle iniziative che hai attuato, come psicoterapeuta, in questo ambito?

 

Innanzitutto, sono consulente della più grande associazione italiana di familiari e vittime della strada, l’AIFVS.
All’inizio pensavo che sarebbe stato più facile passare al livello dell’intervento clinico e creare una rete di assistenza nazionale per le vittime della strada. Il mio progetto iniziale, “Isola Bella”, era stato impostato proprio a questo scopo. Poi mi sono resa conto che prima di questo era necessario sensibilizzare le persone che nella loro globalità ignorano le drammatiche conseguenze psicologiche degli incidenti stradali.

Perciò da anni mi rendo disponibile per qualunque campagna, intervista o intervento che sensibilizzi l’opinione pubblica. Non si possono saltare i passaggi, che sono passaggi mentali. Negli altri paesi occidentali, sono attivi sul territorio sistemi integrati di assistenza alle vittime della strada. Da noi ancora si ritiene – nonostante le statistiche ci ricordino continuamente che sono più frequenti di quello che immaginiamo – che gli incidenti capitino per caso, e che siano legati alla sfortuna personale. E, in funzione di questa logica, le vittime sono abbandonate al proprio destino e vivono continue ritraumatizzazioni.

Dopo anni di lavoro, inizio a vedere i primi risultati e a ricevere richieste di intervento di vario genere. Organizzo gruppi clinici per familiari di vittime della strada, allo scopo di aiutarli ad elaborare i lutti che li hanno colpiti. E, naturalmente, seguo in psicoterapie individuali persone che hanno subito incidenti o che hanno perso i propri cari.

 

Conduci qualche ricerca sull’argomento?

 

Sì, mi occupo da anni di cosa accomuni tante storie, apparentemente senza relazione tra loro. Ho scoperto che spesso, dietro a morti improvvise, si celano storie familiari dolorose da più generazioni. Gli psicologi chiamano queste storie trans-generazionali, proprio perché legano tra loro più generazioni di una stessa famiglia. Ciò mi ha portato ad ipotizzare l’esistenza di cause oggettive e soggettive degli incidenti. Le prime sono quelle che tutti noi conosciamo e che ogni giorno ci vengono segnalate anche dai mass media: velocità, ebbrezza, stanchezza, abuso di droghe, mancato rispetto delle norme del codice, sicurezza del fondo stradale, propensione al rischio, ecc. Le cause che chiamo soggettive sono quelle che emergono dai miei studi e che riguardano livelli molto profondi della nostra esistenza e ci mettono in relazione con la nostre origini e le nostre famiglie. Sono spesso queste le cause reali di un incidente e che conducono alcune persone a una morte precoce.

 

Ti ringrazio di cuore per aver risposto alle mie domande e anche per la toccante testimonianza personale.

Stefania Tucci è psicologa, psicoterapeuta. Svolge la sua attività a Roma e a Fonte Nuova (RM).
Già assistente per la cattedra di Teorie della personalità, esperta di disturbi alimentari e psicotraumatologia, conduce attualmente ricerche sui traumi da incidente. Membro di Psycommunity, partecipa al Progetto di Ricerca sul Counseling on line.
E’ Capo Ufficio Stampa per il MIP, Maggio di Informazione Psicologica (www.psicologimip.it ).
Svolge attività di ricerca sulla psicotraumatologia in relazione alle dinamiche transgenerazionali nei sopravvissuti a incidenti stradali e promuove iniziative che conducano alla costituzione di una rete nazionale di assistenza psicologica alle vittime della strada.